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SOPRAVVIVERE AL NATALE

Pubblicato su da ustorio

di Redazione Cadoinpiedi.it - 22 dicembre 2013

Le Festività sono alle porte con tutti i carichi emotivi e le minacce. Il quadretto idilliaco di riunioni famigliari, regali, alberi e decori è ricco di insidie e fonte di stress. Che spesso creiamo da soli. Cadoinpiedi.it ne ha parlato con Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta, autore di Psicotrappole (Ponte alle Grazie, 2013) che spiega come uscirne vincitori.

Il Natale è alle porte. Con tutti i suoi carichi emotivi e le sue minacce. Il quadretto idilliaco di riunioni famigliari, regali, alberi e decori è ricco di insidie. Che, per giunta, ci creiamo noi. Intrappolati in schemi che ci siamo creati da soli. "Le psicotrappole nascono da qualcosa che ognuno di noi fa per fare del bene e finisce per farsi del male", ha spiegato a Cadoinpiedi.it Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta, autore di Psicotrappole (Ponte alle Grazie, 2013). "Succede usualmente agli esseri umani: tendiamo a replicare le strategie che hanno funzionato per risolvere problemi, anche quando non sono adeguate o andrebbero modificate. Invece lo schema viene ripetuto senza successo".

DOMANDA: Il Natale è un periodo in cui si ripongono tante aspettative, e da cui si rimane spesso delusi.
RISPOSTA: Cerchiamo nel Natale, in un evento ritualizzato culturalmente, di compensare molte delle nostre problematiche, se non frustrazioni.

D: In che senso?
R: Nel senso che se la vita va storta ci sembra una soluzione ritrovarsi tutti insieme, intorno al camino, con i regali, il gesto d'amore. Non è una psicotrappola in partenza, ma può trasformarsi in tale per le aspettative che ci creiamo. Mi aspetto che tutto andrà bene, un pranzo meraviglioso con tutta la famiglia, poi qualcuno non viene e il meraviglioso pranzo da Natale diventa triste con poche persone che non hanno nessuna voglia di stare con noi. Ecco, è la psicotrappola delle aspettative infrante.

D: E come prevenirla?
R: Sicuramente è molto bello organizzare il rituale natalizio, ma bisogna ridimensionare le aspettative e non prendercela se qualcuno decide di non venire. E questo vale per i genitori che se la prendono con i figli, o con chi se la prende con gli amici che non vengono a casa nostra. Il problema è sopravvalutare e sottovalutare allo stesso tempo.

D: Ovvero?
R: Ovvero sopravvalutare quanto le persone possano avere il piacere di condividere certi momenti e quindi la potenza dell'impatto affettivo di questi riti, e sottovalutare insieme che se costringo delle persone a stare al rito perché sennò mi offendo, il rito sarà sterile perché le persone ci sono solo perché si sono sentite in dovere e sono ostaggi del nostro umore.

D: Le psicotrappole natalizie sono anche a tavola, vero?
R: Uno dei costumi usuali delle feste è rappresentato da queste tavole super imbandite, e spesso anche chi non se lo può permettere esagera, perché è come una sorta di rito propiziatorio. Senza tavola stracolma è come se la vita poi andasse storta. Queste ritualità ci accompagnano da millenni. Investiamo in un rito sperando che questo influenzi il nostro futuro ma di solito questa sorta di pensiero profetico ci si ritorce contro.

D: Perché?
R: Diventerò vittima di ciò di cui sono stato artefice, spendo un sacco di soldi senza potermelo permettere e nulla cambierà in meglio anzi. Anche qui, bisognerebbe evitare di essere intrappolati in questi schemi.

D: Veniamo a un'altra ossessione natalizia, quella per i regali, che sembra combinare le due precedenti.
R: Assolutamente, i regali vanno fatti a ogni costo, spesso spendendo più di quanto si dovrebbe. Si tende a pensare che se faccio un bel regalo mi vorranno più bene o sarò più importante. Si tratta della psicotrappola della prostituzione relazionale, ovvero io mi prodigo per avere consenso ma quello che ottengo è in virtù di quanto faccio non di quello che sono.

D: E magari il regalo non piace...
R: Infatti indietro non ci torna più affetto. Ma magari una faccia un po' schifata. Bisogna capire che non si deve cercare consenso attraverso i regali che si fanno.

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Nessuno dei tre principali Partiti è normale

Pubblicato su da ustorio

Il titolo può sembrare azzardato, è vero, ma procede da una riflessione. Una riflessione, innanzitutto, sulla cristallizzazione del panorama elettorale italiano in tre poli distinti e precisi. A destra abbiamo Forza Italia, a sinistra abbiamo il Partito Democratico, staccato da entrambi – non si è ben capito ancora in che direzione – abbiamo il Movimento 5 Stelle. Ormai è così, e a dimostrarlo è la disintegrazione di tutti quei partitini che, alle elezioni del 2013, avevano dato l’impressione di mettere i bastoni tra le ruote a questo strano tripolarismo. Il centro di Monti si è quasi dissolto, la sinistra radicale è tornata al suo tradizionale punto percentuale, Sel e Lega soffrono di una perenne emorragia di voti.

Una riflessione, anche, che precede dal nuovo assetto “leaderistico”. Con la vittoria di Renzi e la riconferma di Berlusconi a capo indiscusso del principale partito di centrodestra, e le conseguenze sulla struttura delle rispettive formazioni politiche, possiamo affermare che nessuno dei tre poli corrisponda all’idea tradizionale di partito. Non più. L’unico a rispondere alla “tradizione”, sicuramente dal punto di vista strutturale, era il Pd. Fino all’altro ieri ha ricordato il vecchio Pci, con una spinta al correntismo e al centralismo democratico, con un apparato formidabile e molto efficace sul territorio. Ma ora c’è Renzi e tutto questo svanirà. Il sindaco di Firenze vuole un partito leggero, stile americano, con poca gerarchia e molta flessibilità. Niente correnti, niente lotte interne dunque, ma tanto “carisma”.

Sulla anormalità di Forza Italia si sono sprecati fiumi e fiumi di inchiostro. Forza Italia, e prima di lei il Pdl, sono stati partiti completamente leaderistici, senza una struttura, senza un briciolo di democrazia interna.Le scelte sono sempre state del capo, o degli uomini scelti dal capo. Insomma, il classico partito azienda, a conduzione squisitamente personale. Incapace, dunque, di attecchire nel territorio e in perenne balia di una persona sola. Le prove dell’inefficacia di questo modello sono sotto gli occhi di tutti da venti anni.

Che dire del Movimento 5 Stelle? Le opinione sul modello di partito (sebbene non si definisca tale) sono discordanti ma è certo che non risponda alle dinamiche tradizionali. Basta solo l’estrema importanza concessa ai principi della e-democracy a fare del M5s un partito per nulla tradizionale. L’interpretazione più puntuale, forse, è che vi sia un misto tra elementi del partito leggero e quello del partito fludio-digitale, con una certa componente carismatica a fungere da collante. Un’identità tripartita che da alcuni è vista con sospetto ma che, almeno dal punto di vista politologico, rende l’universo Grillo davvero interessante.

14 dicembre 2013 18:16 Giuseppe Briganti Politica 0

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Bologna: benvenuti in via Fondazza, la prima social street italiana. Scopri cos’è.

Pubblicato su da ustorio

Un'idea tanto banale quanto geniale: perché non trasformare le amicizie su Facebook in amicizie vere? E perché non aiutarsi come si faceva un tempo? Ecco le risposte. Che diventano anche una soluzione anti crisi.

Via Fondazza, a Bologna, è la prima social street italiana. Non ne hai mai sentito parlare? Ecco che cos’è e come funziona: ce lo spiega chi ci vive.

A COSTO ZERO – Dall’estraneità alla condivisione. Dal senso di solitudine al «buongiorno vicino» indirizzato al dirimpettaio. Dall’isolamento, alla consapevolezza di far parte di un gruppo che ha energia e potenzialità contagiose. Le finestre aperte di via Fondazza, la strada bolognese che è diventata la prima social street italiana, non si richiuderanno tanto facilmente. Grazie ad un’intuizione a costo zero, un gruppo su Facebook, Federico Bastiani ha trasformato la sua via, una strada della vecchia Bologna, in una palestra di buone pratiche, una community di buon vicinato, dal successo contagioso.

TUTTO NASCE DA FACEBOOK – «Mi ero accorto che, dopo tre anni, eccetto qualche negoziante, non conoscevo nessuno dei vicini», racconta Federico, 36 anni. «Ai primi di settembre, ho creato un gruppo su Facebook e ho affisso sotto i portici volantini con l’invito ad aderire. La risposta mi ha sorpreso: una valanga. Aspettavo venti adesioni, in tre settimane eravamo cento; adesso siamo 500. Volevo soprattutto trovare coetanei di mio figlio Matteo, 2 anni e mezzo. Ma i fondazziani mi hanno travolto».

IL PORTICO – Via Fondazza, una strada nel centro storico di Bologna, con l’immancabile portico, conta novantuno numeri civici: palazzi affiancati a case più semplici, molte botteghe di alimentari kebab e verdure, gestite da immigrati, che si intrecciano a qualche artigiano, il calzolaio Antonio, il tappezziere, i falegnami, una legatoria. In un ex convento ristrutturato, aule della facoltà di Scienze Politiche. Residenti di lungo corso, novantenni nati nella stessa casa nella quale vivono tuttora, come fece per tutta la vita, al 36, Giorgio Morandi, il pittore delle bottiglie e degli scorci dei giardini, studenti fuorisede o da Erasmus, giovani coppie.

IL BENVENUTO AI NUOVI ARRIVATI – In pochi giorni la bacheca del gruppo Residenti in via Fondazza è diventata un tripadvisor a km zero, una lavagna di benvenuto per i nuovi arrivati, con uno scambio vivacissimo di informazioni, richieste, suggerimenti. A 360 gradi. «Dalle domande sulla focacceria migliore, alla ricerca del veterinario che venisse a domicilio nel week end. Il passaggio dalle informazioni allo scambio di servizi è venuto da sé. Due studenti cercavano una lavanderia a gettone e Sabrina li ha invitati a usare la sua lavatrice in cantina. Laurell cercava una baby sitter e Veru ha proposto di assumerne una sola per tutti i bambini di età simile della strada. I negozianti hanno offerto prezzi scontati, il cinema ha invitato tutti i residenti a un’anteprima, il bistrot francese ha preparato un menù riservato ai residenti»

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AMICIZIA REALE, NON VIRTUALE – Presto hanno deciso di conoscerci di persona, racconta ancora Bastiani: «L’idea di trasferire l’amicizia virtuale nella vita reale si è fatta largo rapidamente. Ci siamo dati appuntamento di domenica mattina, nella piazza più vicina, per guardarci in faccia». La scintilla era scattata. Dagli incontri in piazza sono nate belle abitudini, il caffè assieme la mattina, le feste di compleanno nel bar sotto casa, i tanti progetti per il futuro.

ANTISPRECO, ANTICRISI – La community dei fondazziani ha dimostrato subito una spiccata vocazione antispreco e anticrisi. «Le possibilità sono infinite», dice Bastiani. «Da una sorta di banca del tempo dove ci si scambiano le competenze, al gruppo di acquisto solidale, il gas della strada, facile da gestire. Oppure lezioni di pianoforte in cambio di un’ora di inglese, il materasso che dalla cantina di Michele si è spostato a casa di Paolo, l’ SoS per il computer infettato da un virus, e dopo 5 minuti trovi davanti alla porta, in ciabatte, il vicino di casa informatico smanettone. Federica doveva fare traslocare da sola, e ha trovato tre amici mai visti prima che l’hanno aiutata a spostare tutti gli scatoloni. A me serviva il seggiolino da auto per Mattia? Ho messo un annuncio e Saverio me l’ha prestato». Oppure per evitare sprechi alimentari: «Parto, e ho il frigorifero pieno di cibi che non posso congelare? Metto un post e invito i vicini a venire a prenderseli», spiega Laurell, moglie di Federico.

SOLUZIONE AI BISOGNI – La social street è nata così, per condividere bisogni e offrire soluzioni. «Abbiamo capito che siamo una forza. Un gruppo di persone come noi può fare un sacco di cose», dice Luigi Nardacchione, manager neopensionato, uno dei più attivi del gruppo, nominato sul campo, “vice” di Bastiani. «Risolvere problemi quotidiani di tutti, ma anche migliorare la qualità e la vivibilità della strada, tenerla pulita, aiutare le persone in difficoltà, come gli anziani che vivono soli, candidarsi per far visitare al pubblico la casa museo del pittore Morandi, che in questa via visse e lavorò, dotarsi della banda larga e metterla a disposizione di tutti. E organizzare momenti ludici, cene, una festa della strada».

UN NUOVO CLIMA – Tra le priorità della social street, la più pressante è trovare i modi per coinvolgere tutti quelli che non usano Facebook. Al primo incontro pubblico, organizzato per farsi conoscere e per presentare il sito, ha partecipato quasi un centinaio di persone. Molti venuti da altri quartieri a osservare quest’oggetto misterioso dalla identità incerta. Il sito, creato per rispondere alle decine di richieste che arrivano da tutta Italia, spiega la filosofia dell’iniziativa e contiene le indicazioni per creare altre social street. «Anche il sito è rigorosamente made in Fondazza, a costo zero, grazie a Filippo, che di mestiere progetta siti, e a Laura, la grafica che ha disegnato il logo, scelto, ovviamente, on line. «La cosa più importante, però, non è l’interesse suscitato, ma è il nuovo clima che abbiamo creato», dice Nardaccchione. «Dal virtuale siamo passati presto alla vita reale perché abbiamo avuto il desiderio genuino di conoscerci. Grazie alla spontaneità si è creato tra noi un senso immediato di fiducia reciproca».

COME UN PICCOLO PAESE – Nel successo della social street c’è qualcosa di molto legato al momento che viviamo, ragiona Federico. «In tanti mi hanno raccontato che in via Fondazza si è sempre vissuto così, come in un piccolo paese. Un posto dove tutti si conoscevano, si salutavano, collaboravano. Però quell’abitudine è andata sparendo, ed è scomparsa, da almeno venti anni. Se oggi la vecchia Fondazza rinasce come social street vuol dire che il bisogno di socializzare, compartecipare e condividere è ancora fortissimo, inalterato, anche ai tempi di Facebook». E su Facebook qualcuno gli fa eco: «Fino a poco tempo fa non amavo molto questa strada, anzi, la trovavo brutta. Ora la guardo con occhi nuovi. Comincia a piacermi».

Rita Cenni

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ottopermille

Pubblicato su da ustorio

Amici questo è il tempo, dopo mesi, dopo anni di estenuante e anche lo ammetto noiosa ripetizione sempre delle stesse cose inascoltate, questo è il momento cruciale dove si svelano le ipocrisie evidenti a tutti coloro che hanno onesta volontà di vedere. Da oggi l'iniquità e la parzialità del meccanismo 8x1000 è sancita indirettamente dal Capo del Governo Italiano, Stato succube del clericalismo. Il Presidente del Consiglio Enrico Letta infatti ha presentato il meccanismo del 2x1000 ai partiti, fondato, così come accade per il 5x1000, esclusivamente sulla «volontarietà dei contributi da parte dei cittadini» e lo ha presentato con queste parole, fate attenzione: «Il sistema del 2x1000 è un sistema che NON FREGA IL CITTADINO, il sistema del 2x1000 funziona in una situazione nella quale se il cittadino non opta, quindi non sceglie Stato o partiti, il contributo, il 2x1000 stesso, cioè l'inoptato rimane allo Stato quindi è un sistema che dà tutto il potere ai cittadini».
Il 2x1000 dunque non frega il cittadino perché vale solo se il cittadino sceglie di destinarlo.
Il 5x1000 dunque non frega il cittadino perché vale solo se il cittadino sceglie di destinarlo.
E l'8x1000? Ogni anno mediamente il 57% degli italiani NON esprime la preferenza del proprio 8x1000 ma le quote vengono comunque destinate. Si parla di circa 600 milioni di €/anno. E si arriva così ad un'immensa cascata di denari:
6 MILIARDI 337 MILIONI sono gli € usciti dalle casse dello Stato Italiano che il meccanismo dell’8×1000 ha assegnato per gli anni dal 2008 al 2013 alla Chiesa Cattolica: in pratica oltre 1 MILIARDO DI € PER ANNO. Segue la ripartizione ufficiale:
- Interventi caritativi, 22% (1367 mln di €)
- Sostentamento del clero, 35% (2220 mln di €)
- Culto, Edilizia e Pastorale, 41% (2625 mln di €)
- Quote accantonate, 2% (125 mln di €)
http://laicitadellostato.altervista.org/blog/8x1000

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