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l'altra faccia della spirale

SVEGLIA ANCONA!!!!

Pubblicato su da ronin

Ancona: Smascherato il bluff sui rifiuti

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Devo dare una brutta notizia a tutti i cittadini che hanno seguito in loco o da casa il Consiglio comunale di lunedì: il litigio tra Pd e Idv su dove localizzare l'impianto è la classica finta lite da depistaggio, come avevamo anche anticipato.
Infatti, è inutile litigare su un impianto che non è stato nemmeno progettato preliminarmente, perchè non si farà mai.

Dal Resto del Carlino di oggi, intervista all'Assessore Provinciale Mariani, assente al Consiglio di lunedì:
L'intervistatrice dice, sulla querelle Ancona-Maiolati per decidere dove fare l'impianto: "Ma per il momento c'è solamente un progetto preliminare sul sito della Baraccola..."
Mariani: "Purtroppo si sbaglia. Per il momento ci sono solamente ipotesi progettuali, nemmeno un progetto preliminare. Il motivo per cui sollecitiamo da circa un anno il Comune di Ancona a presentare un progetto, è per mettere in moto l'iter approvativo sia esso su qualunque sito".
L'intervistatrice: "Ma il Comune vi ha fornito della documentazione di recente, o sbaglio anche in questo caso?"
Mariani: "E' vero stavolta. Il Comune alla fine dell'anno scorso ci ha inviato una lettera in cui spiega che servono 52 mesi per la realizzazione dell'impianto della Baraccola. Ed è una tempistica troppo lunga rispetto alla deroga ministeriale concessa dalla Regione alla Provincia di Ancona e che già opera dal primo gennaio 2010. Nella sostanza dovremmo avere un impianto funzionante nel 2014. E ci crediamo talmente tanto noi della Provincia che all'impiantistica abbiamo destinato un milione e 800 mila euro di fondi FAS".

Quindi, il progetto NON ESISTE.
Ci hanno preso tutti in giro !!!
Assessore Franzoni, 52 mesi per cosa, per quale impianto ?????
L'impianto tipo Vedelago si fa in 6 mesi, però se non interessa basta dirlo. Non si può dire che si vuole fare e poi portare avanti una cosa diversa, che tra l'altro non si farà mai perchè la Provincia non è disposta ad attendere 52 mesi!!
Avete preso in giro il Consiglio ed i cittadini che lo hanno seguito !!

Il nostro comunicato stampa di oggi.
Finalmente l'Assessore Mariani ha svelato le inefficienze di Conero Ambiente e del Comune di Ancona, che da un anno colpevolmente non forniscono neanche un progetto preliminare dell'impianto di trattamento dei rifiuti alla Provincia, mentre Anconambiente registra ancora un bilancio in rosso.
La Poli del Centro Riciclo Vedelago ha dichiarato che un impianto come il suo si realizza in 6 mesi, produce utili e non necessita di alcuna Valutazione di Impatto Ambientale perchè non inquina. Probabilmente se si fosse approfondita la questione un anno fa, oggi Anconambiente potrebbe utilizzare un impianto all'avanguardia e produrrebbe utili, mentre ora si paventa la copertura delle perdite con l'aumento della Tarsu ai cittadini.
Non perdiamo altro tempo, si faccia subito un bando di gara per la progettazione di un impianto di selezione e riciclo, dove vengano messi a confronto vari progetti e si scelga il migliore nell'interesse della comunità.

Leggi e commenta: http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/ancona/2011/01/smascherato-il-bluff-sui-rifiuti.html

 

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Il Marketing Politico

Pubblicato su da ronin

Come i partiti declinano una particolare forma di tecnica commerciale per comunicare efficacemente con l’elettorato.

 

Nella società attuale l’evoluzione del marketing comprende, non solo l’innovazione continua degli strumenti a disposizione degli esperti, ma anche un’estensione degli iniziali ambiti di applicazione. Un tipico esempio è rappresentato dalle cosiddette forme di "marketing politico", utilizzato per analizzare il comportamento elettorale, conoscere e valutare il potenziale elettore, elaborare dei messaggi che siano comprensibili ed il più possibili efficaci nella comunicazione con l'opinione pubblica.

Per comprendere il fenomeno nella sua complessità, occorre innanzitutto tener conto delle specifiche finalità delle strategie di marketing, che riguardano, in primis, la soddisfazione di bisogni e desideri. Se, in ambito imprenditoriale, ciò si traduce nell’identificare cosa vuole il consumatore e nel fornirglielo, in ambito politico invece lo scopo dei partiti è quello di conquistare il potere agendo nel rispetto delle regole democratiche.

In entrambi i casi, dunque, requisito imprescindibile è la capacità di procurarsi le competenzenecessarie per poter offrire ciò che richiede il mercato e, soprattutto, la bravura nel saper comunicare al mercato stesso che si possiede la competenza cercata. Ed è qui che entra in gioco il ruolo fondamentale del marketing.

Per rendere più efficace l’idea, si potrebbe parafrasare una definizione fornita dal Sole 24 Ore, secondo cui «Il marketing è la funzione creativa del management che valutando i bisogni dei consumatori e intraprendendo ricerche e sviluppi per soddisfarli favorisce il commercio e l'occupazione».

In politica si potrebbe declinare la stessa frase dicendo che: «Il marketing politico è un processo con il quale un soggetto pone in essere una serie di analisi e ricerche al fine di conoscere desideri e aspirazioni dall'elettore in modo tale da poter sviluppare un progetto politico particolare e globale che raccolga il consenso necessario alla conquista del potere democratico».

A questo riguardo è assai significativa una campagna pubblicitaria che ha scatenato una massiccia polemica di recente in Spagna. Nello spot del Partito Socialista della Catalogna si vede una donna che si dirige verso le urne con la sua scheda elettorale. Sembrerebbe tutto tranquillo fino a quando, durante il tragitto, la donna sembra essere rapita da un piacere irrefrenabile che culmina, proprio mentre imbuca la scheda, in un plateale orgasmo, a simboleggiare che "votare è un piacere".

La finalità della campagna è quella di sensibilizzare i giovani al voto, anche perché, come ha dichiarato il leader del PSC Josè Montilla: «Il fine giustifica i mezzi e se uno spot simile spinge gli elettori a votare è una buona cosa». Un immediato "controspot" è arrivato dalla candidata alla presidenza per Alternativa de Governo, Montserrat Nebrera, che ha realizzato un altro video, ancora più esplicito. In esso si sentono i gemiti di una donna e si vedono dei vestiti sul pavimento. Alla fine la Nebrera, con indosso solo un asciugamano, dichiara «Se volessimo creare scandalo per comparire sui media, avrei tolto questo asciugamano. Ma in politica non tutto vale».

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Vladimir Putin impone l’open source

Pubblicato su da ronin

La Russia da il benservito a Microsoft e abbraccia l’open source. Con un emendamento composto da 25 punti e  firmato dal Primo Ministro Vladimir Putin, il governo russo apre le porte a soluzioni basate sul free software, accantonando invece quelle proposte da Redmond e utilizzate finora dagli uffici governativi. Il piano di transizione partirà dal secondo trimestre del 2012 e dovrà terminare entro i 2015.

Alla base della decisione potrebbe esserci più che la volontà di adottare soluzioni in grado di tagliare drasticamente le spese del comparto informatico governativo, l’intenzione di lanciare un segnale forte e chiaro a tutte le aziende con le quali le principali istituzioni russe hanno stretto accordi. A seguito degli interventi di forza operati dalle forze dell’ordine su ordine del Cremlino al fine di sbaragliare alcuni gruppi dissidenti, l’azienda di Redmond ha infatticoncesso a gruppi e associazioni di vario genere licenze gratuite dei propri software, facendo così crollare l’alibi utilizzato dalle autorità russe e basato su un presunto accordo con Microsoft nella lotta alla pirateria. Ciò può aver innescato una forte reazione da parte della Russia, il cui messaggio è scritto a chiare lettere: chi non segue i dettami del Governo verrà tagliato fuori da ogni possibile accordo economico.

Una volta ultimato il piano di operazioni stilato dai vertici russi, l’intero comparto macchine degli enti governativi sarà basato solo ed esclusivamente su software libero:sistemi operativi, applicazioni, driver e quant’altro dovranno essere rigorosamente rilasciati con licenza aperta. Per tale obiettivo è prevista anche la realizzazione di un’unica repository dalla quale le istituzioni sovietiche potranno attingere nuove applicazioni e nuovi strumenti utili per portare avanti la propria attività quotidiana tramite l’utilizzo dei computer forniti dal Governo. In questo contesto potrebbe essereGNU/Linux a fare la voce grossa, proponendosi come principale soluzione per il comparto informatico russo.

I venticinque punti dell’emendamento approvato lo scorso 17 Dicembre sono disponibili online in lingua russa. La traduzione effettuata da Google Translate permette di comprendere abbastanza chiaramente quelli che sono gli obiettivi prefissati, che forniscono un quadro generale delle prossime mosse che la Russia metterà in atto: l’intero scenario è quello di una vera e propria riforma del settore informatico, con novità che riguarderanno anche il settore civile tramite la formazione di figure professionali nel campo ITC e l’introduzione di nuove soluzioni per il mondo dell’istruzione.

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veritas vos libebit

Pubblicato su da ronin

veritas vos libebit
veritas vos libebit
nulla è come sembra
di ronin

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Telemarketing, siglato codice regolamentazione

Pubblicato su da ronin

In vigore da febbraio, il sistema opt-out consentirà ad ogni utenza il diritto di scegliere di essere disturbati telefonicamente o meno. Restano alcune perplessità sulle formule alternative

 

Alcune imprese della filiera delle Tlc, riunite in Asstoelecomunicazioni, hanno siglato il codice di autoregolamentazioni per il telemarketing, che entrerà in vigore dal 1 febbraio per svolgere l'attività commerciale telefonica in un quadro di regole chiare, orari predefiniti, più garanzie e potere di scelta per i consumatori. La pratica pubblicitaria che per anni ha disturbato gli italiani molestandoli con telefonate ad ogni ora della giornata, inclusi i giorni festivi, e ripetutamente, assisterà a grossi cambiamenti e direttive abbastanza rigide con lo scopo di proporre una nuova modalità di comunicazione promozionale via telefono. Almeno nelle promesse.

Il regolamento finora è stato sottoscritto da Telecom Italia, Vodafone, Wind, H3G, Fastweb, BT Italia, Tiscali, Colt, Brennercom, Welcome, Sky Telecare, Almaviva Contact, E-Care, Comdata,Visiant, presto impegnati a far rispettate le norme anche ai rispettivi outsoucer, inclusi i call center.

Il codice, il cui nome completo è "Norme per la regolamentazione del trattamento dei dati dagli elenchi abbonati per fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazioni commerciali, mediante l'impiego del telefono", nato a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 20 bis della legge n. 166 del 2009,cambierà radicalmente, secondo alcuni, la gestione degli elenchi abbonati, prevedendo che il destinatario dell'offerta promozionale possa decidere di essere contattato oppure no.In particolare il tratto distintivo della nuova disciplina è rappresentato dalla scelta di affidarsi a due registri, uno basato sul principio del'opt-in che prevede il consenso del cliente per questo tipo di servizi, affidato alla Fondazione Ugo Bordoni, l'altro regolato dal principio del'opt-out che stabilisce che gli abbonati sono tutti contattabili. Dunque, toccherà ai titolari delle singole utenze scegliere di non essere infastiditi, prediligendo l'inserimento della propria utenza nel registro "nero", con il quale si stabilisce che gli utenti non potranno essere nuovamente disturbati.

Tale cambiamento dovrebbe consentire al Belpaese, secondo i fautori dell'iniziativa, di allinearsi alla normativa prevalente in Europa dove l'opt-out è ormai adottato tra gli altri da Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Islanda, Olanda, Norvegia e Regno Unito. Restanocomunque le perplessità per quanto riguarda la possibilità, prevista dall'art. 2 del decreto, che le aziende di telemarketing potranno effettuare il contatto con gli utenti qualora i dati raccolti non siano stati recuperati dall'elenco degli abbonati ma da altre fonti, circostanza non rara. Oppure, le controversie in merito alla carenza nel Codice di regole per i numerosi altri mezzi pubblicitari e commerciali a disposizione degli operatori di TLC quali cartoline, forum online, email e quant'altro. Questi come altri aspetti critici, ampiamente segnalati all'arrivo della notizia per l'istituzione del registro anti-invadenza, rimangono tuttora da analizzare e approfondire.

Ad ogni modo, secondo il presidente di Assotelecomunicazioni Stefano Parisi, il passaggio al sistema opt-out consentirà una maggiore consapevolezza da parte di tutti, operatori e abbonati. "Con il varo del Codice - ha spiegato - gli aderenti ad Asstel hanno inteso cogliere quest'opportunità per far evolvere il telemarketing in strumento trasparente di commercializzazione e promozione dei servizi di TLC, attuato secondo modalità non invadenti, rispettose dei diritti alla privacy e alla riservatezza delle persone". "D'altro canto il telemarketing così regolato è uno strumento sano di sviluppo del mercato, che contribuisce a rendere più dinamico e concorrenziale e, quando realizzato correttamente, rappresenta un valore per il consumatore". "La nostra intenzione - ha concluso - è quella di ampliare il perimetro di adesione al Codice proponendolo anche a operatori di altri settori di servizi".

Il Codice, inoltre, stabilisce le fasce orarie e i giorni in cui è escluso di contattare ogni utente: domeniche e festivi e tutti i giorni dalle 21.30 alle 9.00 del mattino, il sabato prima della 10.00 e oltre le 19.00. Viene, inoltre, stabilito un periodo di trenta giorni denominato "di rispetto" nel quale non è possibile per gli operatori TLC contattare nuovamente la stessa numerazione. Obblighi ben definiti sono stabiliti in capo agli operatori che effettueranno le chiamate di telemarketing, i quali dovranno identificarsi all'inizio di ogni chiamata fornendo il proprio nome e il nome dell'operatore per il quale si sta chiamando, spiegare lo scopo commerciale o promozionale del contatto, il ruolo che la società ricopre, precisare che i dati personali sono stati estratti dall'elenco abbonati, segnalare l'eventuale opportunità di poter iscriversi al registro delle opposizioni e, infine, informare sull'esistenza del codice e fornire l'indirizzo del sito web nel quale trovare ulteriori dettagli e precisazioni. 

Per concludere, sarà affidato ad un Comitato di Garanzia la vigilanza sul rispetto delle regole di condotta e l'aggiornamento del Codice in relazione agli sviluppi del mercato e alle esigenze dei consumatori.

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Napolitano sciolga il Pdl

Pubblicato su da ronin

Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, p3ista, responsabile della fusione con i post (?) fascisti di Alleanza Nazionale ha detto in merito alle prerogative di Napolitano sulla formazione di un nuovo governo: "Ce ne freghiamo!". "Me ne frego/me ne frego/me ne frego è il nostro motto (del Pdl, ndr)/ Per Berlusconi e Verdini eia, eia, eia, alalà!". Verdini ha precisato: "Anche i partiti hanno le loro prerogative". Quali? Leggiamo laCostituzione.
- Art. 5. La Repubblica è una e indivisibile.
- Art. 18. I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete.
- Art. 49. Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
- Disposizione Transitoria e Finale XII. È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In sostanza abbiamo un tizio con il nome di un dopobarba, Denis, il macellaio che non deve chiedere, rappresentante di un partito ripieno di ex piduisti (associazione segreta vietata dall'art.18), il cui capo aveva la tessera P2 1816, un partito fuso con dei fascisticon il busto di Mussolini all'ingresso di casa e il saluto romano incorporato (partito fascista vietato dalla Disposizione XII), alleato con dei secessionisti (vietati dall'art. 5). E' quindi chiaro che l'obbligo del Presidente della Repubblica, non la semplice prerogativa, è loscioglimento immediato del Pdl sulla base della Costituzione Italiana. E' altrettanto chiaro che i partiti hanno occupato spazi istituzionali che non gli competono. I partiti, recita la Costituzione, dovrebbero essere libere associazioni di cittadini, come le liste civiche, e sono invece diventati i rappresentanti di sé stessi occupando ogni spazio da almeno trent'anni, come disse Enrico Berlinguer in una intervista del 1981: "I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali...".
L'arroganza dei partiti deriva dall'impunità, dal credersi padroni del Paese, dal poter trattare le Istituzioni come una pezza da piedi, come è avvenuto con la chiusura della Camera. I partiti, come sono adesso, devono estinguersi. Nominano i loro parlamentari sostituendosi agli elettori, incassano un miliardo di euro di finanziamenti elettorali nonostante un referendum, ignorano le leggi popolari, boicottano i referendum, finanziano i loro giornali con i soldi dei contribuenti, spendono miliardi di euro che non hanno, creando la voragine del debito pubblico. Napolitano sciolga il Pdl, non tema, nessun italiano muoverà un dito. Il resto verrà da sé.

 

Beppe Grillo, ipse dixit

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Disdetta telefonica: come evitare l’addebito di penali

Pubblicato su da ronin

Nonostante il Decreto Legge 31 Gennaio 2007, n.7 (Decreto Bersani) le avesse abolite, ancora oggi molte imprese di servizi, in particolare gestori telefonici, continuano ad applicare sul recesso anticipato dai contratti delle penali (oggi denominate “costi o contributi di disattivazione”) assolutamente ingiustificate, di 40, 70 o anche 120 €.
 

Ricordiamo che il Decreto Bersani stabilisce che nel caso in cui l’utente decide di disdire il proprio contratto (questo il fac simile) o di passare da un operatore telefonico all’altro, non deve versare al gestore alcuna penale, ma solo quei costi che il gestore concretamente sopporta per le operazioni di disattivazione del servizio o del trasferimento dell’utenza, costi che devono essere dunque motivati e giustificati all’utente.

 

Ciò vale sia per i contratti residenziali, sia per quelli aziendali e si applica non solo al servizio di telefonia ma anche ad esempio a quello delle tv a pagamento.

Per questo motivo invitiamo tutti coloro che dovessero ricevere fatture con l’applicazione di penali di recesso, ad inviare una lettera di diffida a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno per chiedere l’immediata emissione di unanota di credito. Questo il fac simile da utilizzare.

Nel caso in cui con la diffida non si ottenga l’effetto sperato consigliamo di optare per la conciliazione, uno strumento semplice, rapido e a basso costo che consente di trovare una soluzione amichevole alle controversie. Questi i moduli di conciliazione di alcune compagnie telefoniche: Telecom, Wind, Teletu, Vodafone.

Si può conciliare attraverso le principali associazioni dei consumatori o per mezzo dei CoRecom (Comitati Regionali per le comunicazioni). In questo caso occorre compilare il formulario UG e spedirlo a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno unitamente alla fotocopia del proprio documento di identità.

Se neppure davanti al CoRecom si riesce a trovare una soluzione alla controversia si possono seguire due strade: presentare ricorso entro sei mesi dalla conclusione del procedimento all’Autorità Garante per le Comunicazioni(Agcom), attraverso il formulario GU14, oppure ricorrere alla via giudiziaria. Attualmente il giudice di pace è competente per cause civili del valore fino a 5.000,00 €.

 da www.moduli.it

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Wikileaks è a prescindere cosa buona e giusta?

Pubblicato su da ronin

Capiremo il significato delle pubblicazioni di Wikileaks soltanto in divenire. Capiremo la bontà del lavoro di Assange soltanto nel tempo. Oggi occorre limitarsi ad una presa di coscienza dei fatti così come si stanno sviluppando tra tv e titoli dei giornali, partendo dal Web e spesso tentando di vedere nel Web il sintomo della nuova rivoluzione mediatica. Prima di abbandonarsi al richiamo delle sentenze facili, però, è consigliabile attendere, analizzare e riflettere: cosa significa Wikileaks? Wikileaks è a prescindere cosa buona e giusta?

Dietro Wikileaks vi sono infatti una serie di paradossi non da poco. Nel nome, anzitutto, perchè di “Wiki” in un progetto simile non v’è granché. Il nome richiama però perfettamente l’immagine che il sito vorrebbe evocare: un lavoro “dal basso” che consente di far emergere nuove verità. Rispetto a Wikipedia (il wiki più conosciuto al mondo) v’è però una differenza sostanziale basata sul numero delle fonti da cui le notizie provengono. Wikileaks non è un “molti-molti”, ma un “uno-molti”. Dentro Wikileaks, insomma, di crowdsourcing c’è ben poco e l’impronta reale sembra più quella televisiva dell’informazione calata dall’alto che non il fermento vero del Web che porta verso l’alto le verità sommerse. Una informazione calata dal basso: un controsenso di enorme significato e valenza.

La qualità di Wikileaks è sprigionata tutta (o quasi) grazie al mezzo tramite cui viene veicolata l’informazione: il Web non appartiene ad un canale televisivo, non è sottoposto ad un titolo di giornale e può agire in modo neutro proponendo semplicemente informazioni e delegando alle analisi altrui la scelta critica, l’analisi approfondita e la ricerca dei dettagli. Wikileaks tira il sasso e nasconde la mano, ma fa tutto ciò in piena trasparenza: è così che il sito intende lavorare.

Se l’idea Wikileaks sia giusta o se sarebbe più opportuno un approccio mediato alle informazioni è cosa difficile da capire a caldo ed in queste ore sono in molti a sperimentare improvvisate analisi sul fenomeno. Quel che sembra chiaro fin da subito è il potere forte che una pubblicazione simile può avere a prescindere dalle informazioni pubblicate. Questo perchè le voci di corridoio diventano automaticamente storia; questo perchè i segreti di stato cadono inesorabilmente come foglie secche dopo una stagione terminata e dimostrano quanto il Web e l’informatica stiano cambiando alla radice le convinzioni, gli istituti e gli apparati dell’epoca moderna.

Nelle ore antecedenti la pubblicazione il sito Wikileaks si è dichiarato sotto attacco DDoS, il che non ha fatto altro che attirare ulteriore curiosità attorno alle pubblicazioni. Telegiornali, giornali e semplici utenti si son messi uno affianco all’altro davanti ad un simbolico schermo unico ed hanno seguito in presa diretta le pubblicazioni per giungere quanto prima a qualche conclusione interessante: la sensazione di abbeverarsi alla fonte della verità ha scatenato l’ingordigia del sistema comunicativo. Anche di fronte a ciò, però, occorre una puntualizzazione: Wikileaks non pubblica “la” verità, ma “una” verità. Scomoda, irriverente, completa o meno che sia, si tratta di una fonte di informazioni che viene automaticamente elevata a realtà poichè precedentemente segreta.

Di Wikileaks sappiamo poco o nulla, dopotutto. Ma ci si fida, come ci si fida delle cose che si presentano senza secondi fini apparenti. Ci si fida delle promesse di trasparenza, ci si fida della filosofia trasmessa da Assange e dalla natura stessa del Web. Ci si fida, ma non ci si dovrebbe fidare fino in fondo. Perchè occorre sempre vigilare sulla confusione tra fine e mezzo ed assicurarsi a priori che le cose non vengano confuse e che il processo non inquini la fonte. Perchè se ci si abbeverasse tutti ad una fonte malsana, il mal di pancia collettivo sarebbe insopportabile.

Bisogna credere in Wikileaks (non nei contenuti, ma nel meccanismo in sé)? Bisogna soffiare sul fuoco di Wikileaks? Bisogna predicare pudore nelle pubblicazioni o bisogna cancellare ogni mediazione in favore di un impatto più diretto e vero con la realtà? Una regola non c’è ed ognuno crederà o non crederà secondo istinto alla filosofia del sito delle grandi rivelazioni. Fatto sta che tutto il mondo oggi pende dalle verità in pubblicazione. E tutto il mondo farà oggi leva su queste rivelazioni per reinterpretare la realtà a proprio favore.

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Attuazione della direttiva 2008/63/CE e il fai da te con i router

Pubblicato su da ronin

Nel tardo pomeriggio di ieri è stata pubblicata questa notizia relativa alla direttiva 2008/63/CE approvata dal Consiglio dei Ministri in data 22 ottobre 2010. L'interesse dimostrato dagli utenti e le critiche sollevate hanno suggerito un approfondimento che abbiamo realizzato con la collaborazione di alcuni esperti del settore. In una prima fase abbiamo parlato con Stefano Quintarelli che ha affrontato l'argomento in oggetto pubblicando questo contenuto. Abbiamo ulteriormente approfondito l'argomento con l'avvocato Fulvio Sarzana, che nel corso della sua attività professionale si è occupato principalmente di vicende legate alla regolamentazione dell’informatica e delle telecomunicazioni e ha partecipato in qualità di consigliere giuridico di Associazioni di operatori di comunicazione elettronica  a diversi tavoli di lavoro Ministeriali per la regolamentazione dell’ICT. Inoltre, l'avvocato Fulvio Sarzana è professore a contratto di “Regolamentazione giuridica delle reti” presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Roma “La Sapienza”.

Gli approfondimenti hanno fondamentalmente confermato tutti i contenuti nella notizia, anzi hanno anche aggravato il quadro generale. In primo luogo chiariamo subito un concetto: la vicenda coinvolge qualsiasi apparecchio connesso alla rete pubblica, e cioè alla terminazione di rete messa a disposizione dal proprio provider. La definizione di "rete pubblica" usata nel decreto, secondo l'avvocato Fulvio Sarzana, non deve trarre in inganno: è la terminazione che giunge nelle nostre case attraverso il doppino, la fibra ottica o altri mezzi trasmissivi. Quindi il termine "rete pubblica" non deve far pensare a rete utilizzata dalla pubblica amministrazione, o rete a cui accede il pubblico o ambiti lontani da quelli domestici, si tratta semplicemente della classica "borchia telefonica".

Detto ciò pare evidente tutto il resto: se nel fatidico punto f del decreto il Ministro per lo sviluppo non inserirà una dettagliata casistica di dispositivi di semplice collegamento, sarà necessario rivolgersi a tecnici specializzati. Nei commenti alla precedente news è stato scritto molto, forse anche troppo e con questo aggiornamento intendiamo essere molto chiari: per fare ciò invitiamo i lettori a leggere questo documento pubblicato dall' Unione Europea confrontandolo con il decretoitaliano.

Nel decreto italiano si fa riferimento a rete pubblica, concetto superato da anni, da quando Telecom e altre aziende sono sul mercato. Ma è proprio questo il dettaglio da considerare: la normativa europea intendeva tutelare proprio le nuove aziende di telecomunicazioni chiamate a confrontarsi con situazioni di monopolio. Bene, nel decreto italiano si rispecchia esattamente il contrario: gli Internet Service Provider vengono di fatto ostacolati da una normativa non ancora chiara che impone ai propri utenti una certificazione del proprio impianto o collegamento, esattamente come avveniva in regime monopolistico di SIP per chi ancora ricorda questo nome.

Per essere ancor più chiari riportiamo quanto scritto dall'avvocato Fulvio Sarzana sul proprio blog:

E allora cosa ha fatto il Governo?

 Ha preso uno “striminzito” comma, contenuto nell’art 3 della Direttiva,  che si riferisce ad una Facoltà degli Stati Membri, e non ad un obbligo, che ci dice che  ( è facoltà dello Stato)   “esigere dagli operatori economici un’idonea qualificazione tecnica per l’allacciamento, l’installazione e la manutenzione di apparecchiature terminali, qualificazione accertata in base a criteri oggettivi non discriminatori e resi pubblici.” e che non c’entra niente con lo spirito della norma che serve solo a “traghettare” il mercato dei terminali e delle installazioni degli apparati a casa dell’utente da un sistema controllato dallo stato ad un sistema liberalizzato e ci ha “ficcato” un’altra cosa, completamente diversa.

In questa situazione il decreto italiano al posto di facilitare le cose le complica reintroducendo una situazione vecchia ormai di 20 anni, infatti già ai tempi di SIP il collegamento alla borchia telefonica doveva essere effettuato solo da un tecnico specializzato. Tutto ciò riabiliterebbe la figura degli installatori, in particolare di coloro che hanno speso soldi per ottenere i requisiti necessari al rilascio delle certificazioni. Su posizioni diametralmente opposte sono gli ISP per i quali un maggior regime di libertà sarebbe auspicabile, infatti è esperienza comune che alla sottoscrizione di un contratto di connettività venga recapitato all'utente un modem o un analogo dispositivo con una completa descrizione delle operazioni da effettuare per la configurazione e il collegamento alla rete pubblica. La questione si gioca quindi su più fronti: un'interpretazione della normativa europea che nel recepimento italiano invertirebbe le parti, e una questione di interessi tra gli operatori di telecomunicazione e gli installatori in possesso dei requisiti previsti dal decreto.

Ringraziamo Stefano Quintarelli, l'avvocato Fulvio Sarzana e alcuni utenti del forum per il confronto costruttivo e l'importante collaborazione.

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ancora non è contenta di sangue, la belva umana........

Pubblicato su da ronin

Ogni qualvolta si vorrà installare in casa un semplice router occorrerà chiamare un tecnico specializzato, ovviamente da retribuire allo scopo, il quale dovrà controfirmare la propria installazione con la certificazione di aver agito secondo le regole dell’arte. Addio al fai-da-te ed al semplice piacere di configurare la propria rete a proprio piacimento: questo, almeno, è quanto traspare dalle parole contenute in un decreto legislativo approvato il 22 ottobre scorso dal Consiglio dei Ministri in «Attuazione della direttiva 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni». Rimane tuttavia un ampio margine di azione per evitare la caduta nell’ennesimo orpello normativo anti-Internet: di qui l’utilità dell’allarme scattato attorno ad una norma che necessiterà ora del necessario monitoraggio affinché tutto vada nel verso giusto.

La segnalazione è di Stefano Quintarelli ed il testo ufficiale del decreto è disponibileonline. Si tratta con ogni evidenza di un nuovo paradossale balzello teoricamente tanto sgangherato da risultare addirittura inapplicabile oltre che iniquo, privo di logica, privo di utilità e del tutto dannoso se applicato secondo quanto delineato nel testo approvato. Ma dal testo sembra trasparire anche una speranza per cui l’allarme attuale possa essere ingiustificato.

Il nocciolo della questione risiede nel comma 1 articolo 2: «Gli utenti delle reti di comunicazione elettronica sono tenuti ad affidare i lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), che realizzano l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica, ad imprese abilitatesecondo le modalità e ai sensi del comma 2». Nella fattispecie si comprendono nell’articolo «le apparecchiature allacciate direttamente o indirettamente all’interfaccia di una rete pubblica di telecomunicazioni per trasmettere, trattare o ricevere informazioni; in entrambi i casi di allacciamento, diretto o indiretto, esso può essere realizzato via cavo, fibra ottica o via elettromagnetica; un allacciamento è indiretto se l’apparecchiatura è interposta fra il terminale e l’interfaccia della rete pubblica».

Il comma 2 specifica tutta una serie di dettagli che il Ministro dello Sviluppo Economico dovrà deliberare entro un anno dall’entrata in vigore del decreto: trattasi di un onere che oggi ricade sulle spalle di Paolo Romani, ma che tra un anno ricadrà probabilmente sul ministro subentrante dopo la probabile caduta dell’attuale Governo ed il ritorno alle urne.

Il comma 3 indica le sanzioni a cui si andrà incontro in caso di mancato allineamento alle regole imposte: «Chiunque [...] effettua lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali [...], realizzando l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica, in assenza del titolo abilitativo di cui al presente articolo, è assoggettato alla sanzione amministrativa pecuniaria da 15.000 euro a 150.000 euro, da stabilirsi in equo rapporto alla gravità del fatto».

La speranza è però appesa ad un piccolo passaggio del comma 2 che mette in gioco una serie di eccezioni ancora tutte da definire. Le parole sono ad una ad una importanti:

f) i casi in cui, in ragione della semplicità costruttiva e funzionale delle apparecchiature terminali e dei relativi impianti di connessione, gli utenti possono provvedere autonomamente alle attività di cui al comma 1

Un semplice router o un semplice switch possono essere annoverati in questa casistica «in ragione della semplicità costruttiva e funzionale» che li contraddistingue? Se sì, il problema non sussiste. Ma a questo punto occorre attendere il decreto che il Ministro dello Sviluppo Economico andrà ad esplicitare nei mesi a venire. Nel frattempo «è tutto vietato, tranne ciò che sarà permesso».

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